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Siamo costantemente impegnati a sviluppare soluzioni dietetiche che migliorino l’efficacia terapeutica e la qualità della vita delle persone con particolari condizioni cliniche. In questa sezione puoi trovare informazioni scientifiche sui disturbi e sulle patologie di cui ci occupiamo. Utilizza il menù che trovi in basso per scoprire di più sulle aree di tuo interesse.

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Fenilchetonuria e altre aminoacidopatie

La fenilchetonuria o PKU (dall'inglese phenylketonuria) è una malattia metabolica di origine genetica che porta ad un eccesso dell'aminoacido fenilalanina (Phe) nel corpo. Questa anomalia è dovuta ad un difetto nel gene fenilalanina idrossilasi (PAH) che codifica l'enzima che converte la fenilalanina in tirosina (Tyr).
La fenilalanina è un aminoacido essenziale per la sintesi delle proteine, quindi non può essere prodotto dall’organismo ma deve essere introdotto tramite la dieta giornaliera nelle quantità adeguate a consentire la crescita e la riparazione dei tessuti corporei.
Nei soggetti affetti da PKU la mancata conversione provoca un accumulo della concentrazione di fenilalanina nel sangue e nel cervello che compromette il normale funzionamento dei principali messaggeri cerebrali, tra cui la dopamina e la serotonina, determinando disabilità mentali, disturbi neurologici e comportamentali.
La fenilchetonuria può essere facilmente diagnosticata nei neonati, tra le 48 e le 72 ore dopo la nascita, attraverso lo screening neonatale reso obbligatorio con la legge n° 104/1992 ed allargato ad altre 40 patologie con la legge 167/2016. Nelle famiglie a rischio e nel caso in cui si conoscano le mutazioni coinvolte è possibile effettuare diagnosi prenatale mediante analisi genetica.

La fenilchetonuria è una malattia genetica a condizione autosomica recessiva, che si verifica quando entrambi i geni per la PAH sono “difettosi”. La posizione e la natura della mutazione nei geni determinano gli effetti sull’attività dell’enzima PAH e di conseguenza la gravità della patologia che viene classificata in lieve, moderata o classica/severa,  in base ai valori nel sangue di Phe raggiunti a dieta libera. Un’altra variante è dovuta alla mutazione del gene per la sintesi o la rigenerazione del cofattore enzimatico tetraidrobiopterina (BH4).

Approssimativamente 1 persona su 50 ha un gene difettoso per la PKU, cioè è un portatore sano. Le possibilità che due portatori sani si incontrino sono molto basse, circa 1 su 2500 ed è per questo motivo che la PKU è definita una malattia rara: in Europa si stima una prevalenza di 1/10.000 nati vivi.

In attesa di possibili trattamenti futuri come la terapia enzimatica sostitutiva o la terapia genica, il trattamento dietetico rimane l’unica terapia attualmente percorribile per la gestione della PKU. Questo, per evitare danni, deve iniziare fin dal primo mese di vita garantendo un apporto energetico-proteico adeguato in base all’età e una quantità controllata di fenilalanina.

La terapia dietetica consiste quindi in:

  • consumo di frutta, verdura e un numero limitato di alimenti;

  • utilizzo di sostituti aproteici/ipoproteici dei comuni alimenti per coprire i fabbisogni energetici (prodotti Taranis / Harifen);

  • utilizzo di miscele aminoacidiche per coprire i fabbisogni proteici individuali (linea Numefen / Antifen);

  • restrizione di alimenti naturalmente contenenti proteine come carne, uova, legumi, latte, formaggi, pasta, pane e derivati, bibite gassate contenenti aspartame;

Nonostante siano necessari studi di lungo periodo per valutare l’efficacia e la sicurezza, un’alternativa al tradizionale trattamento dietetico è l’utilizzo di miscele con “Large neutral amino acids” (LNAAs) (Antifen Arancia, Antifen R) che competono con la fenilalanina a livello del trasportatore LAT1 nella barriera emato-encefalica. Questa alternativa assicura una dieta meno rigida abbinata a una riduzione dei valori di Phe a livello cerebrale.

Ulteriori alternative possono essere l’impiego di miscele a rilascio prolungato degli aminoacidi e il glicomacropeptide (GMP)

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Insufficienza renale cronica

Con il termine "insufficienza renale cronica" si identifica l'incapacità progressiva del rene a svolgere le sue funzioni depurative, causata da differenti tipi di nefropatie. Tale condizione è irreversibile e si sviluppa a volte in modo graduale, altre volte in maniera più repentina. I reni filtrano il sangue da diverse sostanze dannose, tra cui le sostanze azotate derivate dal metabolismo delle proteine, regolano gli equilibri idro-salini per la pressione arteriosa, l’equilibrio acido-base per l’acidità del sangue e il metabolismo di calcio, fosforo, vitamina D. Inoltre producono l’ormone eritropoietina che regola la quantità di globuli rossi presenti nel sangue. Nelle fasi iniziali dell’insufficienza renale l'unico sintomo che può comparire è la necessità di urinare più volte di notte, alla quale si aggiungono, in una fase successiva, aumenti dei livelli di azoto e necessità di urinare in modo frequente anche durante il giorno. Nella fase terminale si verifica un decadimento delle condizioni generali con pallore, scarso appetito e astenia. Oltre a questi sintomi si possono avere: ipertensione arteriosa, eventuale scompenso cardiocircolatorio o edema polmonare acuto, disturbi respiratori, anemia, linfocitopenia, disturbi del sonno, difficoltà alla concentrazione, neuropatie periferiche.

Le patologie che possono condurre a questo problema sono principalmente: diabete; ipertensione; lupus; infezioni renali ricorrenti; calcoli renali; cisti renali; infezione del sangue detta sepsi; uso costante di antidolorifici, alcool o altri farmaci.

 

Nelle prime fasi della malattia si attua una terapia conservativa, basata su dieta, modificazioni dello stile di vita e farmaci, diuretici e antipertensivi, impiegati per mantenere sotto controllo l’evoluzione dell’insufficienza renale cronica. Quando la funzione renale residua non è più sufficiente a coprire le necessità dell’organismo si ricorre alla terapia sostitutiva: emodialisi, in ospedale 3 volte la settimana per circa 4 ore per depurare il sangue, oppure dialisi peritoneale, variante più fisiologica della precedente, che si può effettuare durante il riposo notturno, che necessita però di una certa collaborazione da parte del paziente. Nelle forme a rapida evoluzione, se non esistono controindicazioni, è consigliato anche il trapianto di rene. Una dieta particolare è uno dei punti cardine della terapia conservativa. Ai malati si consiglia una dieta ipoproteica-ipofosforica, anche leggermente iposodica. Un adeguato introito di proteine (conseguentemente di fosfati), riveste un ruolo importante nella terapia conservativa dell’insufficienza renale cronica perché permette:

  • il controllo dei livelli di urea, fosforo e paratormone;

  • il controllo dell’equilibrio acido-base (in particolare dello stato di acidosi metabolica);

  • il mantenimento di uno stato nutrizionale soddisfacente;

  • un possibile rallentamento della progressione dell’insufficienza renale verso l’uremia terminale.

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